Caro Giovanni, mi permetto di rivolgermi a te in prima persona, perché oggi le formalità poco servono; servono parole semplici, come le tue, per arrivare dritti a tutti.
Ci proviamo.
Caro Giovanni, chissà quante lettere come questa ti sono arrivate in 31 anni, quante ne invieranno e quante non arriveranno perché c’è ancora tanta indifferenza nonostante il tempo che passa.
Caro Giovanni, non importa chi scrive, è più importante chi legge.
Caro Giovanni, oggi la “tua” Palermo si colora, di quel colore che 31 anni fa è venuto meno per via di un’esplosione che ha causato la tua morte, quella di Francesca e di tutti gli agenti della scorta. Palermo, il 23 maggio del 1992, si frammenta in migliaia di pezzi: in parte impaurita, in parte vittoriosa; in parte abbandonata, in parte potente; in parte arrabbiata, in parte spumeggiante e gloriosa. Oggi Palermo è colorata: con il suo cielo azzurro, con il tepore del mare che risale verso il centro città, con le grida dei mercati popolari, con chi corre per non fare tardi, con chi prepara gli striscioni, chi andrà in Aula Bunker, chi appenderà il lenzuolo bianco dal balcone per dire “io ci sono”. Palermo è pronta a sfoggiare il suo miglior abito per questa giornata.
Pensi che lo sia sempre stata? Pensi che sia possibile poter parlare ancora di memoria collettiva, memoria che fonda radici? O pensi che qualcuno si sia dimenticato?
Caro Giovanni, l’anno scorso proprio in questo periodo la “tua” Palermo, e la “tua” Sicilia si preparavano a votare le nuove amministrazioni. Il voto è democratico, il popolo ha detto la sua. Ma non pensi che ci si sia dimenticati di qualcosa? Come se si fosse chiuso tutto in un cassetto enorme e la chiave fosse stata buttata via. La “tua” Palermo, e anche la “tua” Sicilia, quelle colorate, con il tepore del mare che risale verso l’entroterra, con uomini laboriosi e donne impegnate, proprio loro, sembrano aver rimosso strani intrecci tra politici e mafia, strani processi e condanne, strane storie nascoste nel tempo, di cui non conosciamo le verità. Ma Palermo è così, la Sicilia è così, noi siciliani siamo così: di cuore, sempre pronti a dare una seconda possibilità. Ma, Giovanni, se dovessero sbagliare? La colpa di chi sarà, la nostra? Persone di cuore e fiduciose. O la loro? Quelli che “se una cosa è così allora dovrà continuare ad essere così”.
Caro Giovanni, mi sono spesso trovata a raccontare la tua storia e quella di chi come te si è battuto per una terra più libera, una terra di cui non si possa solo dire “Pizza, mafia, e mandolino”. Una terra, la Sicilia, che ha sofferto e soffre ancora per i pregiudizi di chi viene da noi solo per “il buon cibo, le belle persone, quelle che il calore del mare lo portano dentro, e il buon mare”. Non sempre è facile dimostrare che da più di trentuno anni in Sicilia si combatte, tutti combattono, o almeno chi conosce i tuoi stessi valori: di giustizia, legalità, purezza, limpidezza, lealtà, condivisione. Non sempre è facile dimostrare, anche perché spesso la realtà tradisce queste belle parole e questi bei valori, che noi da decenni e secoli ce la mettiamo tutta per dare di più a chi ne ha bisogno, per rispettare le regole, per adempiere ai nostri doveri da cittadini. Non sempre è facile continuare con questa lotta incessante che tu, Paolo, Gaetano, Rocco, Ninni, Rosario, Don Pino e tutti coloro i quali io non abbia menzionato, avete portato avanti e che meritano anche un solo pensiero oggi per aver dato la vita per me, e per chiunque stia leggendo. Perché se oggi parliamo di “tempi migliori” è solo grazie a voi e al vostro lavoro.
Caro Giovanni, sai, hanno ben pensato di costruire dopo anni di progetti e proposte il fantomatico “Ponte sullo stretto di Messina”. Verranno da tutta la Penisola i migliori ingegneri, le migliori ditte, i migliori costruttori per quest’opera. Ma sono davvero convinti che per collegare la Sicilia al resto dell’Italia basti un ponte? Continuiamo ad essere i migliori per “buon cibo, bel mare e belle persone”, ma nessuno, sia dentro casa che fuori, fa qualcosa di realmente concreto per far sì che tutto possa cambiare. Per impedire che quella fetta, così non piccola, della popolazione si rivolga al malaffare per campare fino a fine mese, per impedire che il bel mare di cui parlavo non sia la discarica di droga, per impedire strani intrecci, strani processi e strane storie in cui i protagonisti siano i politici (la voce del popolo) e la mafia (la voce del sopruso, la voce della distruzione).
Caro Giovanni, però di cose belle ne sono successe. Nessuno dimenticherà il 16 gennaio di questo nuovo anno. E lasciami la possibilità di dirti che per me e per quelli come me, è stato un giorno di festa. “Finalmente l’hanno preso”. Non sono mancati gli scettici e non mancano neanche ora, perché: “si è fatto prendere”, “tanto ormai è malato”, “c’è stata una nuova trattativa”. Nessuno sa come realmente siano andate le cose, ma io voglio credere che la verità stavolta sarà ricostruita, voglio credere nella giustizia e nella forza del diritto, voglio credere che anche se “le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così”.
Caro Giovanni, per la tua morte e per quella del tuo amico Paolo, non abbiamo ancora certezze, non si arriva ad una verità. Ma potrà mai bastarci tutto questo?
Caro Giovanni, oggi è la tua giornata, oggi è anche la nostra. Oggi facciamo memoria, anche per chi non vuole ricordare; oggi gridiamo tra le strade della “tua” bella Palermo, anche per chi non vuole sentire, e non solo in Sicilia; oggi facciamo silenzio per te e la tua scorta, per riflettere, anche per chi ha deciso di non farlo; oggi ci crediamo ancora di più nel tuo lavoro e nel tuo sacrificio, anche per chi non l’ha fatto fin dall’inizio; oggi è il giorno giusto per far capire che non solo oggi bisogna fare tutto questo, che basta poco, cose semplici, cose da buon cittadino, cose vere e di cuore, cose giuste, cose leali, cose che parlano di comunità e collettività, cose piccole ma impegnative, per portare avanti il tuo lavoro.
Caro Giovanni, non importa chi scrive, ma importa chi legge, e io sono convinta che chiunque si sia fermato a farlo abbia già fatto il primo passo verso di te, verso di noi.