Pirandello diceva che “l’uomo si distrae facilmente”, forse un bene ai giorni nostri, ribatterei.

Siamo immersi in una quotidianità pervasa da pessime notizie: dai bombardamenti al numero di morti in crescita, dal dolore di chi scappa dalla guerra a chi resta per difendere la propria patria. Effettivamente il termine “distrazione” non è il più adatto per il difficile momento che viviamo, ma serve a volte rimarcare come sia necessario, anzi fisiologico, spegnere i nostri schermi, per poterci dedicare alle nostre faccende da sbrigare, alla nostra quotidianità, non per dimenticare cosa stia succedendo (a due passi da casa nostra), ma per impegnarci a capire come essere/sentirci utili.

Fra le attività che hanno impegnato moltissimi italiani ultimamente c’è la “Memoria”, più precisamente “fare memoria”. Il termine deriva dal greco e “indica la facoltà di mantenere in vita i contenuti del passato.” Si dice spesso di voler tenere stretti i ricordi per non dimenticare, e quello che ci chiediamo allora è: qual è il valore del ricordo? Che cosa significa fare memoria?

Riavvolgiamo il nastro! Torniamo al 21 marzo: forse un lunedì come tutti gli altri, forse una giornata di sole o di pioggia, forse una giornata di riposo o di studio, forse una giornata normale.

Non per l’Italia, non per Napoli, non per noi.

Foto di Virginia Drago, 23 maggio 2019, Palermo, Via d’Amelio.

Il 21 marzo, primo giorno di primavera, nonché Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Primavera e memoria. Due termini apparentemente scollegati tra loro.

Questa giornata scaturisce dal dolore di una madre: nasce un Giorno della Memoria quando si fa memoria, esattamente il 23 maggio del 1993, ad un anno dalla strage di Capaci. Primavera, memoria, dolore. L’enigma si fa più complesso.

Nasce un Giorno della Memoria da una domanda: «Sono la mamma di Antonino Montinaro, il caposcorta di Giovanni Falcone. Perché il nome di mio figlio non lo dicono mai? È morto come gli altri». Quindi: Primavera, memoria, dolore, domanda.

Nasce un Giorno della Memoria per recitare ad alta voce i nomi di chi ingiustamente ha perso la propria vita perché “così è stato deciso”. Primavera, memoria, dolore, domanda, giustizia.

Nasce un Giorno della Memoria per stringerci tutti più vicini e per trattenere stretto il ricordo di ciò che è stato e non deve più essere. Primavera, memoria, dolore, domanda, giustizia, collettività.

Il 1° marzo del 2017, con voto unanime alla Camera dei deputati, è stata approvata la proposta di legge che istituisce e riconosce il 21 marzo quale “Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie”. Ma prima? Dal 1996, ogni anno, viene scelta una città italiana, da Roma a Siracusa, da Trieste a Palermo, (quest’anno Napoli), per poter fare memoria, perché a voce alta sia possibile fa risuonare i nomi di chi ha lottato incessantemente, con forza, con la propria vita, per sconfiggere un male che prolifera e si insinua nelle profondità della nostra esistenza. Ricordare per non far morire: il ricordo come un germoglio.

Primavera è rinascita. Per questo è stato scelto il 21 marzo, perché dal ricordo possa fiorire bellezza, possa fiorire una nuova possibilità per noi tutti, possa nascere in noi la consapevolezza di agire.

Ricordo è azione, non inerzia, non mera commemorazione. Ricordo è ”far camminare sulle nostre gambe le idee” di chi si è battuto per lasciare al prossimo un mondo, un’Italia, fondata sui sani valori, sulla trasparenza, sulla legalità.

Il dolore è quello di chi vuole giustizia per il proprio figlio/figlia, marito o moglie, per un proprio caro o famigliare. Il dolore è di chi ha il diritto di conoscere, di sapere, di avere la verità. Perché non ci si rassegna mai.

La domanda che sorge spontaneamente è “Perché?”. Non si può trovare una vera risposta, ma si può cercare di riportare alla luce i fatti che hanno oscuramente stravolto e travolto la vita di chi non c’è più e di chi è rimasto in vita.

La giustizia. È quella in nome della quale si agisce. È quella che si continua, a distanza di anni, a ricercare.

La Collettività. Siamo noi, giovani e non, con i nostri ideali, le nostre prospettive, i nostri sogni. Siamo noi a dover dare senso a questo ricordo, a questa giornata. Siamo noi a dover lottare per chi non ce l’ha fatta. Siamo noi a dover combattere con gli strumenti che ci sono stati lasciati in eredità. Siamo noi a doverci stringere, non solo il 21 marzo, ma anche nei restanti 364 giorni, intorno al dolore dei familiari delle vittime, per attenuarlo, per alleviarlo. Siamo noi a dover portare avanti il lavoro, sacrificante, di chi ha creduto in una nuova realtà: non servono grandi gesti, è dal piccolo che bisogna iniziare.

Siamo noi a dover rappresentare il gambo di quella meravigliosa pianta che è nata anni e anni fa. Nata con il seme gettato da chi ha creduto e si è battuto per un’Italia libera; perché finalmente della libertà se ne possa sentire “il fresco profumo.” (Paolo Borsellino)

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