Secondo un’inchiesta del quotidiano britannico The Guardian, dal 2010 in Qatar sono morti circa 6.500 operai immigrati nei preparativi dei Mondiali che avranno inizio nel 2022. Gente proveniente da paesi come l’India, il Pakistan, il Nepal ed il Bangladesh, a cui viene garantito, a fronte di una condizione di vita terribile, uno stipendio da poco più di un euro l’ora. Una remunerazione da fame, che non copre per nulla i rischi a cui gli stessi lavoratori sono esposti: alte temperature, impalcature insicure e ore di lavoro al giorno eccessive, tra gli altri.
Il tutto nell’indifferenza da parte della FIFA, l’organo di governo del calcio mondiale, sempre pronta a rimarcare ormai ad ogni evento la sacralità del Fair Play in campo. Un loro portavoce ha recentemente dichiarato che la frequenza degli incidenti avvenuti dal 2010 in Qatar “è stata complessivamente bassa rispetto ad altri grandi progetti di costruzione avvenuti in tutto il mondo”, senza tuttavia specificare quali. Una dichiarazione che magari (magari no) a qualcuno ha fatto anche piacere ascoltare.
A questo si aggiunge il silenzio della politica, probabilmente invidiosa nel non riuscire a replicare quel modello di basso costo del lavoro (e medio/alta produttività), in passato facile da riscontrare in numerose nazioni senza la necessità di sacrificare i diritti dei lavoratori. Il governo del Qatar rigetta le accuse nei suoi confronti, sostenendo che il numero di morti dichiarato è proporzionato alla dimensione della forza lavoro migrante del paese. Doha sottolinea inoltre che sono stati conteggiati anche i decessi di immigrati che vivono da molti anni nella nazione. Anche queste dichiarazioni superficiali.
Servirebbe allora una presa di posizione come quella della nazionale norvegese, che poco prima di una partita giocata a Marzo valida per la qualificazione al mondiale decise di indossare una maglia con la scritta “Human rights on and off the pitch” (“Diritti umani sul campo e fuori”).
Il Qatar è uno dei paesi più facoltosi del Medio Oriente e oggigiorno viene spesso preso come esempio di efficienza; la semplice domanda che, tuttavia, mi pongo è: una nazione in cui vigono ancora le condanne a morte, le pene pubbliche corporali, i ‘processi farsa’ e l’eliminazione degli oppositori e dei giornalisti scomodi, oltre al divieto per attività sindacali e scioperi, vale per la FIFA e per le nazioni, tra cui la nostra Italia, una carneficina di migliaia di persone?
