Nel 1978, al Women’s Exposition di New York, Marylin Loden coniò, inconsapevolmente, una espressione che, da lì a poco, avrebbe fatto la storia. Durante un suo discorso, l’allora dipendente della New York Telephone Co, aveva fatto osservare la difficoltà nel raggiungere posizioni apicali lavorative, e non solo, per il genere femminile. È noto a tutti che ricorrere ad immagini, metafore e simboli per spiegare dei concetti astratti è molto utile affinché i nostri interlocutori possano ben capire determinati concetti. E la Loden, in quel momento, con l’espressione soffitto di cristallo (o glass ceiling), ci riuscì perfettamente. Il termine fa riferimento ad un vero e proprio ostacolo, ovviamente invisibile, che il genere femminile incontra durante la propria carriera e che, nella maggior parte dei casi, non riesce a superare per via di fattori culturali e politici. Un ostacolo che, secondo i dati, riesce ad essere tranquillamente oltrepassato dagli uomini.
È proprio questo divario di genere, tra il sesso maschile e femminile, che comunemente viene chiamato Gender Gap. Funziona più o meno come una scalinata in cui in alcuni gradini arrivano solo gli uomini (solitamente quelli più in alto), e non le donne. Più questa distanza è grande, più il Gender Gap è alto. È dunque compito di una politica seria (e attenta) accorciare questa distanza per poter garantire a tutti le stesse opportunità.
Nel 2006, il World Economic Forum (WEF) introdusse il Gender Gap Report, un rapporto che annualmente, sulla base di alcuni indicatori (salute, educazione, economia e politica), analizza il divario di genere in tutto il mondo. Il Gender Gap Report dell’anno scorso ha fatto emergere notevoli criticità per il nostro Paese: per divario di genere, l’Italia si collocava al 17° posto su 20 in Europa e, a livello mondiale, 76° su 153 paesi. Nel rapporto emergeva quanto le donne fossero avanti in termini di formazione (livelli di istruzione più elevati rispetto agli uomini, con percentuali basse nel settore STEM) e cultura, ma indietro (molto indietro) in termini di salario: le loro retribuzioni sono più basse rispetto a quelle degli uomini. Non a caso l’Italia, per parità salariale, si trovava nel 2020 al 125° posto su 153 paesi del mondo.
La pandemia ha peggiorato le condizioni economico-sociali delle fasce più vulnerabili della nostra società, creando così maggiori diseguaglianze. Non è un caso che nel rapporto 2021 del WEF si stimava che per chiudere definitivamente la “forbice” del divario di genere ci sarebbero voluti 135 anni (35 anni in più rispetto all’anno precedente). L’impatto economico del Covid-19 ha avuto ripercussioni più gravi proprio sul genere femminile. Shecession è il termine con cui si puntualizza questa recessione tutta al femminile. Ad evidenziarla è il “Rapporto sul mercato del lavoro” di Istat, Anpal, Inail, Inps e Ministero del Lavoro (https://www.istat.it/it/files/2021/02/Il-Mercato-del-lavoro-2020-1.pdf): il numero di donne che ha perso il lavoro è doppio rispetto agli uomini (il tasso di occupazione delle donne è sceso dell’1,3% contro lo 0,7% degli uomini). Inoltre, il numero di reingressi nel mercato del lavoro è minore nella categoria delle donne. All’interno del rapporto infatti si legge che
“Gli individui che dal 4 maggio al 30 settembre sono rientrati nel mercato del lavoro ammontano nel 2020 a quasi 467 mila [..] Se consideriamo le caratteristiche degli individui coinvolti, vediamo come siano state le donne e gli over50 ad aver registrato il minore numero di reingressi nel mercato del lavoro: la quota di quanti hanno trovato un’occupazione, infatti, si attesta rispettivamente al 42,2% e al 41,1% [..] Sono le donne e i giovani fino ai 24 anni di età ad aver aspettato il maggior tempo prima di trovare una nuova occupazione, con distanze rispettivamente pari a 99 e a 100 giorni (21 e 22 giorni in più rispetto al 2019)“.
Pensare all’interno di un Paese che nascere donna potrebbe limitarti nell’avere determinate prospettive, è del tutto inaccettabile! Ho sempre ritenuto che le problematiche di genere, notevolmente evidenziate dai rapporti sopra enunciati, siano il frutto di un pensiero culturale retrogrado. Possiamo inventarci qualsiasi tipo di riforma (qualcuno autorevolmente aveva proposto una minore tassazione per le donne https://www.lavoce.info/archives/27312/perche-e-utile-tassare-meno-le-donne/), ma ciò di cui avremmo realmente bisogno è una vera e propria rivoluzione culturale. Combattere le disuguaglianze di genere è una priorità, ma soprattutto una questione di civiltà.