Autore: Bruno Salerno
Pur appartenendo a due mondi diversi, sport e politica rappresentano storicamente un legame inscindibile. Le manifestazioni sportive sono state utilizzate spesso come strumento di propaganda al fine di aumentare il consenso politico e hanno anche giocato un ruolo importante nei rapporti internazionali. Le competizioni sportive, in particolare i giochi olimpici, ci hanno dato dimostrazione di quanto queste possano essere utilizzate come strumento per dimostrare la superiorità del proprio Paese.
Nell’epoca della politica pop, dove i politici prendono posizione su qualsiasi tematica di attualità, lo sport rappresenta un topic importante su cui basare una parte della comunicazione politica, suscitando in questo modo l’attenzione dei mezzi di informazione e della gente comune. Oggi più che mai ne stiamo avendo una dimostrazione: da un paio di giorni il tema rilevante non è il Covid ma la creazione (tentativo fallito in pochi giorni) di un nuovo campionato europeo, la Super League. Questa notizia, oltre a dividere l’opinione pubblica tra chi è pro e chi è contro l’istituzione di questa competizione, è riuscita a mobilitare tutti: giornalisti, opinionisti da tastiera, Fifa, Uefa e anche politici. Tutti compatti. Boris Jhonson, Emmanuel Macron, Giuseppe Conte, Mario Draghi, sono solo alcuni nomi dei politici che hanno preso una posizione su questo tema. Dalle loro dichiarazioni sembrerebbe esserci una narrazione secondo cui si contrappongono da una parte l’élite e dall’altra l’insieme delle squadre meno affermate, che non rientravano in questo progetto ma che spesso finivano per creare vere e proprie “favole calcistiche”. A quanto pare questa “mobilitazione” da parte della stampa (che in questi giorni non è sembrata essere a favore della Super League), della politica e dell’opinione pubblica sia ben riuscita a mettere il bastone tra le ruote al progetto dei grandi club. Senza dubbio, il forte grado di pressione da parte della politica ha contribuito particolarmente ad interrompere il sogno di pochi.
Il rapporto tra calcio e politica è complesso ed intrecciato: spesso il calcio viene utilizzato dai politici come espressione del proprio potere, come ci ha ampiamente dimostrato la storia di Silvio Berlusconi, altre volte come mezzo di distrazione di massa. A tal proposito alcuni commentatori raccontano che il Decreto Biondi del 1994 (decreto che abolì la custodia cautelare per i reati finanziari e contro la PA) venne emanato appositamente a margine della semifinale dei mondiali di calcio tra Italia e Bulgaria: un momento importante su cui erano puntati gli occhi degli italiani. Coincidenza o no, molti sospettarono che la politica volesse sfruttare questo momento in cui l’opinione pubblica era distratta.
Il binomio politica-calcio si potrebbe guardare anche da un altro punto di vista: la politica che parla come il calcio. Ciò a cui assistiamo oggi è una politica che ha le sembianze di una partita di pallone, in cui si affrontano juventini contro interisti, guelfi contro ghibellini, comunisti contro fascisti. E con dei tifosi fanatici, gli elettori, che non sono capaci di mettere in discussione il leader della propria squadra.
Bruno Salerno