La mia bacheca di Linkedin è tempestata da post in cui si elogia lo smart-working e la possibilità di studiare in distance. Le università, le aziende e le istituzioni lodano questa nuova modalità di studio e lavoro ritenendola rivoluzionaria (probabilmente perché evita loro ingenti costi) e pensando a come essa possa diventare permanente a tempo indeterminato. Eppure tutta la gente che lo dichiara ha tendenzialmente una famiglia e un lavoro stabile. E i giovani?
Ancora una volta i più grandi decidono di avere la meglio e pensare a se stessi. Come si fa a credere che lo smart-working totale sia un beneficio per una società in cui l’interazione è la base stessa dell’esistenza?
Lo smart-working sta rubando ai giovani non solo il futuro lavorativo ma anche quello affettivo. Lavorare da casa tutti i giorni impedisce qualsiasi forma di interazione fisica a lavoro. Voi mi direte che si può lavorare da casa e poi la sera uscire con gli amici. Non è cosi per tutti coloro che cambiano città per motivi lavorativi e a causa dello smart-working si ritrovano soli nella propria casa per almeno 10 ore al giorno e privati di ogni opportunità di relazionarsi con altri e costruire rapporti affettivi con gli stessi.
Lo smart-working genera anche dei professionisti meno preparati. Lavorare da casa è avvilente per chi, ancora giovane, necessita di una costante guida a parole e gesti. Andare in ufficio insegna a rapportarsi con persone di tutti i livelli gerarchici, permette di stringere relazioni extra-lavorative e consente di acquisire un bagaglio di conoscenze e abilità non facilmente trasmissibile attraverso un’app o un computer.
Lo smart-working genera un’ulteriore forma di schiavismo nei confronti delle persone. Lavorando da casa il tempo si dilata. Non si timbra un cartellino né si chiudono le porte dell’edificio a una certa ora. Si lavora senza orari e senza stacchi.
Quindi lo smart-working è tutto da buttare? No di certo. E’ giusto e sacrosanto che per migliorare un work-life balance, sempre meno esistente, si possa lavorare da casa alcuni giorni a settimana. E’ aberrante però che alcuni ritengano che si possa lavorare tutta la settimana, il mese, l’anno, la vita da casa. Siamo esseri umani e non robot messi dietro un computer a pigiare tasti e fare video-calls.
Ci hanno rubato il futuro facendoci credere che la normalità fosse rappresentata da stage non retribuiti, pensioni utopistiche, email in ricezione a tutte le ore e salari da fame. Almeno lasciateci la possibilità di tessere relazioni umane e crescere personalmente e professionalmente…
Carlo Giannone
Interessante, anche io di recente ho fatto alcuni riflessioni sullo Smart Working e per questo sono incappato nel tuo articolo. La situazione è complessa e credo dipenda dai settori e dalla seniority di carriera. Del resto lo “Smart Working” probabilmente richiede anche quell’esperienza per permettere al lavoratore di rendere Smart il proprio lavoro, però non è una riflessione facile. Dipende da individui e organizzazioni… il macro però giustamente richiede considerazioni diverse.
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